Qualche sera fa mi sono iscritto all'ennesimo social network, per lasciare un commento a un'amica che a volte commenta qui.

Allora, vediamo: sono in Flickr, in Twitter, in Facebook, e da qualche sera fa anche in Instagram.

In Flickr ho lasciato scadere l'abbonamento e non mi sono mai preoccupato di rinnovarlo. Quindi, ogni volta che posto una foto nuova, ne cancella una vecchia. Prima o poi finiro' per tornare, come dicono loro, Pro. Prima o poi.

In Twitter leggo e basta: seguo i giornali e le riviste che mi interessano (Micromega, il Fatto Quotidiano, Wire, Icon, Lens Culture...), qualche negozio di dischi (Sounds of the Universe, Other Music...) e qualche casa editrice (Iperborea, Chiarelettere, Minimum Fax...). Ho 2 follower, uno dei quali non ho idea di chi possa essere e come sia giunto fino a me. Numero di tweet: 0, da sempre.

Facebook lo uso esclusivamente quando sono in studio, alla radio, per dialogare con gli ascoltatori.

Poi succede che ricevo una mail come quella di qualche giorno fa, da un'amica che non vedo da anni. Viveva a Londra, poi si e' trasferita altrove. Una mail brevissima. Se fossi ancora a Londra mi piacerebbe che andassimo insieme in questo caffe'. E un link. Basta.

Ho aperto il link e mi sono ritrovato in un piccolo caffe' di Crouch End, delizioso, proprio come quelli che, fino a quando ha vissuto qui, la mia amica e io andavamo cercando in giro per Londra.

E allora capisco che dei social network posso fare tranquillamente a meno. Che a dare gioia sono i messaggi personalizzati, quelli che ci si scambia privatamente, che non legge nessuno tranne che noi. Poche righe, ma a te, perche' ho visto una cosa che ti potrebbe piacere e ti ho pensato.

Commenti

Anonimo ha detto…
Fermo restando che sono uno del miliardo di utenti di FB e quindi non sono contro l'uso dei vari social network, blog e simili, penso però che vi sia ormai un loro uso smodato; ormai siamo spesso figli di un concetto di "se sono pubblico .... esisto" e quindi si posta di tutto anche le cose che potrebbero e forse dovrebbero rimanere private. m.
Fabio ha detto…
E proprio per questa esposizione pubblica collettiva universale, secondo me, si apprezza ancora di piu' quella dimensione di scambio personale e privato.

Nemmeno io sono " contro l'uso dei vari social network, blog e simili", lasciami precisare perche' forse il mio post puo' generare confusione.

Ma insomma, per adattare una frase sentita in un celebre film: tutti gli scambi pubblici nei social network del mondo non valgono un caffe' con un amico.
Anonimo ha detto…
a fagiolo, eh Fabio :D ?
call it ESP, mate...

JC
Fabio ha detto…
ESP, che sta per...?
Anonimo ha detto…
....a proposito di privato e pubblico, ma il nome del caffè? pura curiosità!

da qualche giorno anch'io sono su istagram (meridianoparallelo)....ma non è che mi impegno troppo, a parte manipolare un po' le foto che mi capita di scattare....io i social network li uso un po' così, senza frenesia
hrundi v. bakshi
Fabio ha detto…
Ma cosi' contraddico completamente quello che ho scritto nel post ("i messaggi personalizzati, quelli che ci si scambia privatamente, che non legge nessuno tranne che noi") :)

Comunque il link e' questo: http://www.herlittleplace.com/2012/09/the-haberdashery-home-sweet-home.html.

Peraltro, se invece vuoi conoscere la lista dei miei caffe' londinesi preferiti, in costante aggiornamento perche' ne scopro uno che mi piace quasi ogni settimana, eccola:

1) Nordic Bakery, Marylebone
2) Ray's Jazz Shop Cafe, dentro Foyles di Charing Cross
3) J+A Cafe', Clerkenwell,
4) Monmouth Coffee, Covent Garden e Southwark
5) Albion, Shoreditch.

Dovremmo pero' adottarla questa cosa delle liste (i 5 migliori venues per ascoltare musica, i 5 cinema con la migliore programmazione, le 5 migliori gallerie d'arte indipendenti, ecc.).

Se la cosa puo' interessare lasciate un messaggio e ci dedico un po' di tempo nei prossimi giorni.

Adesso vado a vedere le tue foto.
Anonimo ha detto…
certo!
è che mi piace vedere come viene interpretata l'accoglienza nei locali pubblici al di fuori della mia piccola realtà agreste!
Una delle tante cose che mi manca della città, delle grandi città...
Io vado al mare in biciletta, quà oggi è una gran bella giornata
hrundi v. bakshi

Marco Reina ha detto…
ESP = percezione extra sensoriale
Marco Reina
Marco Reina ha detto…
Ed ecco il mio (modesto) contributo al tema "caffe' preferiti di Londra".
L'ordine non e' di classificazione, ma semplicemente alfabetico.

Albion, Shoreditch;
Kaffeine, Fitzrovia;
Louis Patisserie, Hampstead Heath;
Nordic Bakery, 3 negozi in citta' ed uno a Francoforte, Germania;
Macaroon, Clapham Common.

Ma a chi interessa saperlo?
Marco Reina
Marco Reina ha detto…
Ordine alfabetico con errore: Macaroon precede Nordic Bakery. Vado a ripassare.
Marco Reina
Anonimo ha detto…
Tutti molto belli!
...dalle torte grondanti creme e sciroppi di frutti di bosco alla cassetta di fave dell'Albion ed altre leccornie...mi hanno ricordato un po' i locali di woody allen
hrudi v. bakshi
Fabio ha detto…
Hrudi -

Del resto ti confesso che a me l'ultimo Woody Allen piace parecchio: pensa che mi e' piaciuto pure To Rome with love, qui distrutto dalla critica di ogni ordine e grado. Forse proprio per quello mi e' piaciuto, a pensarci bene.

L'altro giorno ero spaparanzato sul divano, stavo leggiucchiando Jazzwise cercando di tenere gli occhi aperti, e a un certo punto in una recensione dell'ultimo album di Dave Douglas mi ha svegliato l'espressione "countrypolitan" che stanno usando per definire le musiche di confine tra jazz e tradizioni folkloriche (assai di moda di questi tempi: Bela Fleck & Marcus Robert, Elina Duni, ecc.).

Si possono esplorare nello stesso modo gli angoli nascosti di una megalopoli come questa e i sentieri che portano al mare in bicicletta. Con spirito countrypolitan...

Belle le tue foto, mi piacciono soprattutto quelle piu' astratte (la cattedrale di Trani, la lampada).
Fabio ha detto…
Marco -

A me come sai le tue opinioni interessano molto e sempre.

1) Albion: credo di ricordare che lo scoprimmo insieme, e resta sempre un ottimo rifugio, soprattutto di sera quando gli altri caffe' della zona sono chiusi.

2) Kaffeine: me lo facesti conoscere tu e ci sono tornato spesso, anche se per me e' un po' scomodo. Il loro caffe' e' squisito come la cura con la quale lo preparano.

3) Louis Patisserrie: come sai la trovo agghiacciante :)

4) Nordic Bakery: ho recentemente scoperto quella in Dover Street che e' un'oasi. Quella di Soho il fine settimana e' un po' impraticabile, c'e' sempre la coda per un tavolo.

5) Macaroon: aspetto che mi inviti a esplorare Clapham.
CICCILLO ha detto…
beh, ho appena linkato su facebook due brani del disco "countrypolitan" di Dave Doglas con la cantante dei Crooked Still, gruppo che peraltro ho scoperto proprio andando a vedere chi diavolo fosse questa cntante a me sconosciuta e dal nome proprio decisamente di difficile pronuncia.
i pezzi che ho sentito non mi dispiacciono ma va detto che non è una cosa proprio mai sentita prima.
curiosamente a me ricorda molto certi dischi anni '80 della cantante bulgaro-norvegese Radka Toneff, poi tragicamente scomparsa.
attendo anche con interesse di ascoltare il passaggio di Elina Duni su ECM, di lei ho ascoltato solo un concerto su Arte Web ed era bellissimo.
dai, un po' servono questi social network.
non sostituiranno mai un caffè a Londra o altrove ma se li si pensa come mezzo e non come fine secondo me alla fine un senso ce l'hanno.
e poi in fondo è la stessa cosa che ho sempre pensato anche dei blog e fin dalle origini, ora non mi pare né peggio né meglio, solo il fenomeno è più diffuso a livello di massa e dunque perde di fascino e mistero (o di poesia) per chi ha vissuto la fase pionieristica.
ma succede per tutte le cose e i luoghi e le musiche che abbiamo amato e scoperto come se fossimo i primi a farlo.
in un certo senso è uno stimolo alla ricerca, anche se prima o poi si arriva alla saturazione.
o forse ci siamo già.
Fabio ha detto…
Non e' un suono mai sentito quello del nuovo lavoro di Dave Douglas, questo lo sa bene anche lui, che in una recente intervista (sempre pubblicata da Jazzwise) ha dichiarato:

"There are always new openings, and I think this is what's really exciting right now, it's an ongoing victory for openness in music. Today's students are fortunate in a way my generation and yours were not. They're exposed to everything, old school music and newer things. [...] They're learning traditional values, and at the same time trying something new. And, in a way, that's what we're doing with Be still as well".

Tradizione con qualche apertura all'innovazione insomma. Peraltro, il disco e' la registrazione di una serie di brani che Douglas suono' al funerale della madre, scomparsa dopo una lunga lotta contro il cancro, ed e' a lei dedicato:

"In loving memory of Emily Douglas, who, even after hearing over 200 of my performances, still asked me to play these hymns at her service".

Diciamo che il ricordo molto partecipato e l'omaggio sono prioritari rispetto alla tendenza innovativa a tutti i costi.

Il disco fa il suo dovere pero', e ci sono momenti davvero commoventi.

L'album di Elina Duni devo ascoltarlo ancora qualche volta per poterlo commentare con cognizione di causa, ma mi ricorda un po', sempre in ambito ECM, i lavori della cantante danese/ svizzera Susanne Abbuehl, che mi pare piaccia molto anche a te. Anche se il sapore e' un po' piu' etnico, e tutte le tracce sono cantate in albanese. Ma insomma il tono complessivo e' altrettanto lirico e contemplativo.
Fabio ha detto…
I blog secondo me continuano a essere belli da leggere: quelli che sono rimasti sono tutti piuttosto curati, e sono bei taccuini di pensieri.

I social network hanno meno pretese, e forse in questo sta la loro simpatia. Ma non mi appassionano, forse per le ragioni che dici, forse perche' mi sembra tutto veloce e poco pensato.

Dopo 2 minuti in un social network mi spazientisco e sento il bisogno di uscire, ma per mettere la mia socievolezza in prospettiva tieni presente che vivo in Inghilterra e non metto piede in un pub da anni.
CICCILLO ha detto…
quello che dice Douglas è verissimo anche se stupisce la sua umiltà, essendo lui uno di quelli, della sua generazione, che hanno certamente coltivato e ascoltato ed eseguito e composto cose molto diverse.
dunque lui è già fra quelli più "open" però probabilmente riconosce ai più giovani, e io con lui si parva licet, qualcosa di diverso e di nuovo.
ma io più che di apertura e di esposizione parlerei di mancanza di reverenza, di capacità di mettere ogni linguaggio sullo stesso piano.
anche in questo hanno avuto il loro peso alcune modalità ideologiche a seconda dei periodi, a scapito della ricerca e della poesia.
ma questo secondo me vale per molti giovani musicisti americani ed europei ma ovviamente no per gli italiani.
i quali, anche molto giovani, si dividono ancora ideologicamente secondo le vecchie categorie, almeno in ambito jazz dove per esempio si assiste a una specie di conflitto - fra gli ortodossi del mainstream da una parte e delle specie di seguaci del post-modernismo zorniano di trent'anni fa dall'altra - che fa davvero pena.
se non fosse che ormai qualsiasi disputa in Italia fa pena
pena e rabbia, allo stesso tempo.
e la poesia e la dolcezza di quegli inni e della voce di Aoifa ce la possiamo solo vedere nei video di youtube (altra funzione positiva dei social network, dai!) e forse il 3 marzo al Manzoni a Milano (sponsor Mediaset, tra l'altro...).
Fabio ha detto…
Douglas ricordo che a Chicago era (e probabilmente e’ ancora) rispettato da musicisti di generi diversi. Me lo presentarono una dozzina di anni fa in occasione di un suo concerto all’Empty Bottle. A invitarmi fu David Grubbs (allora meta’ dei Gastr del Sol) e al concerto ricordo che incontrammo Bundy Brown dei Tortoise, che mi pare anche di ricordare che fosse tra gli organizzatori della serata (ma mi potrei confondere su questo punto).

Come anche alla musica antica, al jazz mi sono voluto avvicinare senza pretendere di conoscere tutte le possibili classificazioni. Piuttosto, un po’ come si imparano adesso le lingue. Partendo dalle singole parole e cercando poi di comporre frasi deducendo le regole grammaticali. Ma mettendo al centro le emozioni, piu’ che la conoscenza razionale, e le divisioni che dici.

Provando, sperimentando, ascoltando, senza fretta e senza ansia di sapere. Inventandomi percorsi miei. Per cui non so commentare la disputa alla quale fai riferimento.

Posso pero’ dire che sento in ambito jazz, nel 2012, molta freschezza. Quella stessa freschezza che il cadavere del rock, tenuto in piedi dalla respirazione artificiale museale-necrofila della penosa stampa inglese mainstream (Mojo, Uncut e compagnia bella), non sa piu’ esprimere da almeno 30 anni.
arte ha detto…
Fabio, anche a me è piaciuto "To Rome with love". Non è un capolavoro, ma è ben fatto e io l'ho trovato divertente. Secondo me (e qui vorrei il tuo parere) molti di quelli che l'hanno criticato non hanno capito che a Allen non importa assolutamente nulla di mostrare Roma o i romani - lui sa benissimo di mostrare una Roma che non esiste, cioè la Roma vista attraverso gli occhi dell'americano colto che vi ha studiato, i suoi clichè, i suoi topoi. È appunto su questo che si centra il film: la nostalgia per qualcosa che abbiamo vissuto senza che sia mai veramente esistito. A me questo pare ovvio, per questo mi ha stupito la reazione di molta critica italiana: è davvero possibile che non l'abbiano capito? Certo il doppiaggio contribuisce a snaturare, come sempre. Ma non basta.
Fabio ha detto…
Il film l’ho visto qui a Londra, in lingua originale. Alla mia sinistra c’erano altri italiani, che si schiantavano dal ridere a ogni battuta di Benigni e Albanese. Alla mia destra degli inglesi che sembrava stessero vedendo Il settimo sigillo. Impassibili.

Prima del film, sono andate in onda una serie di pubblicita’ studiate per il mercato inglese, quindi con abbondante uso di doppi sensi grossolani, riferimenti al bere, rutti, ecc. Gli inglesi si piegavano dal ridere. Gli italiani sbadigliavano, sperando che quel supplizio finisse in fretta e iniziasse finalmente il film.

Mi ripeto un po’, ma come credo di avere gia’ scritto a me di Allen piacciono particolarmente i film degli anni ’70 e poi questo ultimo periodo europeo, mentre non amo particolarmente l’Allen nostalgico (Radio Days, Broadway Danny Rose, ecc.). Secondo me in queste ultime pellicole coglie con grazia alcune specificita’ europee che a un americano devono sembrare terribilmente esotiche.

E’ un’Europa che non esiste, ma sono film che fanno sorridere sulle nostre vite, dove c’e’ sempre un elemento di confusione sentimentale che tiene legati alla storia. A me questo basta, dall’Allen del 2012 non mi aspetto un altro Manhattan.

La critica cinematografica la leggo con un po’ di scetticismo. A volte esaltano film girati con grande cura, specie con riferimenti da cinefili, indipendentemente dal tema e dalla trama. Ci sono molti film che se avessi dato retta alle critiche non avrei visto, e invece mi sono piaciuti. E viceversa: film che ho visto convinto dalla critica, dei quali ho apprezzato la tecnica di regia, ma la cui trama ho trovato piuttosto irrilevante.

Sai cosa pensavo anche? Che mi piace da pazzi quando i post assumono vita propria, si inizia a parlare di qualcosa e si finisce da qualche parte imprevista, seguendo il flusso dei pensieri collettivi.

Mi verrebbe voglia di non scrivere piu’ nessun post, e vedere i commenti di questo a cosa ci portano. In questo senso ha ragione Francesco: gli scambi online non valgono un caffe’ con un amico, ma un senso l'hanno.
CICCILLO ha detto…
beh visto che ormai, con mia grande gioia, siamo deragliati, proseguosul binario Allen: io il film su Roma non ho nessuna voglia di vederlo ma "Midnight in Paris" mi ha davvero commosso, è un'idea bellissima quella dell'angolo di Parigi in cui è possibile precipitare indietro in quelle epoche meravigliose tanto amate dal protagonista e anche da me (qui si può vedere il luogo in cui è stata girata la scena tramite Google Earth: http://www.lieu-geographique.com/minuit-a-paris,-l-endroit-ou-gil-entre-dans-la-voiture.html). forse non è un gran film ma mi ha molto coinvolto oltre che divertito alla solita maniera di Allen, trovo anche che le scene in costume e la scelta degli attori che le interpretano siano geniali, insieme ai dialoghi. e lo sono tanto più in contrapposizione ai volti e alle mediocrità varie della nostra contemporaneità.
Fabio ha detto…
Anche se il messaggio che io ho colto in Midnight in Paris e' proprio quello di vivere al meglio nel presente, senza idealizzare il passato.

Fitzgerald e Cocteau idealizzavano come eta' dell'oro la Belle Epoque, gli impressionisti idealizzavano il Rinascimento, probabilmente i pittori rinascimentali idealizzavano il classicismo, e cosi' via, sempre piu' indietro.

In realta' l'unico tempo che ci e' dato vivere e' il presente. A questo non possiamo sfuggire, se non con l'immaginazione, ma e' una fuga che puo' essere solo di breve durata. Anche quando cogliamo dolorosamente, del presente, tutta la mediocrita' e tutti i passi indietro.
artemisia ha detto…
Ecco invece a me Midnight in Paris non é piaciuto! Ad eccezione di Adrien Brody, che per me potrebbe fare qualsiasi parte ed essere meraviglioso in tutte, mi ha particolarmente disturbato il protagonista Owen Wilson che per qualche recondito motivo sicuramente legato al mio inconscio io detesto: lo trovo proprio pessimo. Carla Bruni ha ulteriormente contribuito a questo giudizio. Ma proprio l'idea dei personaggi del passato mi è parsa farsesca, e troppo protratta.
Fabio ha detto…
Come Francesco ho amato l'idea "dell'angolo di Parigi in cui è possibile precipitare indietro" nel tempo.

Io non ho una particolare passione (ne' ho un'approfondita conoscenza) per quel particolare frammento di passato, e sono sicuro che se anziche' gli anni '30 il film avesse evocato i miei amati (e idealizzatissimi, inesistenti) anni '70 mi avrebbe parlato piu' direttamente.

Con te Arte concordo sul fatto che il film ha un elemento farsesco che stucca un po'.

Il messaggio pero' mi ha davvero colpito, ci ho pensato per giorni. Credo abbia contribuito a farmi capire delle cose. E quando questo succede passo sopra volentieri a tanti dettagli di stile.

Quindi concordo con entrambi, come si usa nei blog :)

cameracentouno ha detto…
Quel "ho visto una cosa che ho pensato ti poteva piacere", è un regalo di natale fuori stagione, è un segno di condivisione che troppo spesso manca, o dimentichiamo, chissà dove.
Fabio ha detto…
Anche ricevere un commento da un nuovo visitatore di questo blog e' ormai un regalo di Natale fuori stagione.

Comincio a pensare che abbiano molto senso le cose fuori stagione. Su quelle di stagione invece si moltiplicano i dubbi.
cameracentouno ha detto…
In otto anni di blog ne avrai visti di visitatori passare.
E qualcuno restare, anche.
Io sono capitata, ma come vedi, torno. Fuori stagione e fuori dal coro. Ciao e grazie.
Fabio ha detto…
Ci sono stati anni nei quali arrivavano qui tante presenze nuove, lasciando piccoli segni del loro passaggio.

Ora accade molto piu' raramente. I social networks, Facebook in primis, hanno davvero trasformato il modo di intendere la rete.

Una volta era il mare aperto, l'esplorazione. Oggi e' un mezzo per mantenere relazioni spesso piuttosto superficiali.

I blog, come il tuo e come il mio, sono tornati a essere dei taccuini personali, narrazioni di vita attraverso scritti e fotografie.

Mi piace come scrivi e tornero' spesso a trovarti. E poi mi hai lasciato un'idea che ho copiato da te, quella del numero progressivo dei post, e che mi piace molto (anche se per te mi pare di capire che i numeri abbiano un significato particolare e li usi un po' in modo cageiano).
Anonimo ha detto…
E’ un tema attuale ed interessante quello del nostro rapporto con i social network e –direi- con la rete in generale; Internazionale questa settimana dedica la copertina ai rischi che l’abuso di internet può portare al nostro equilibrio.
Personalmente ho iniziato ad interrogarmi seriamente sul mio modo di stare in Facebook.
Nessuna demonizzazione del mezzo, nessuna sconfessione; continuo a ritenere i social network mezzi formidabili per uscire dalla rigidità delle sfere sociali in cui siamo in qualche modo rinchiusi. Attraverso Facebook ho partecipato a stimolanti discussioni e conosciuto persone interessanti.
Lascio perdere ogni considerazione su sciocchezze, banalità e volgarità. Quelle ci sono come ci sono nella vita reale. La rete è un amplificatore di ogni messaggio, sicché amplifica anche le cose negative. Ma questo è un altro discorso.
Quello che mi interessa è la riflessione sul il rischio di caricare questa dimensione “social-virtuale” di un peso eccesivo, di attribuirle forti aspettative di riconoscimento sociale, e di dedicarvi quindi tanto tempo e tante risorse mentali ed emotive. Ed è un rischio reale, tangibile, che può produrre condizionamenti pesanti nella nostra vita.
Per questo sto cercando di modulare meglio il mio rapporto con questo mezzo, di renderlo più leggero e distaccato, riportandolo in fondo alla sua funzione di utilità e di misurata gratificazione.


Enrico
Fabio ha detto…
Stasera ero in treno, stavo venendo qui in radio e riflettevo proprio sulla quantità e qualità di persone i cui contatti ho perso cancellandomi da Facebook.

Mi sei venuto in mente anche tu Enrico, e mi sono consolato pensando che noi i contatti sono sicuro non li perderemo. Il tuo commento mi conforta in questa convinzione.

Leggerò sicuramente Internazionale di questa settimana, anche approfittando del fatto che sono in suolo italiano e quindi me lo posso procurare facilmente.

La pervasività dei social network confesso che mi spaventa. Forse non ha molto senso, ma scrivendo qui mi sento protetto, nei socialnetwork, invece, estremamente esposto.

Qui arriva un certo gruppo di persone e amici che si autoseleziona. In Facebook passano tutti, e se scrivo qualcosa, quando torno e leggo i commenti mi metto le mani nei capelli: battute che non fanno ridere, "like" dei quali farei molto volentieri a meno, ecc. Ragionamenti, pochissimi e affrettati.

La riflessione che dici l'ho un po' gia' fatta. A me piace la dimensione diaristica e distesa del blog e di Flickr.

Il resto è un nice to have, ma richiederebbe tempo che non ho.

Vediamoci presto Enrico, dalle nostre parti o tra le tue colline.